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Luci e ombre sulla ricerca scientifica legata al cioccolato e sulle nostre abitudini

Si dice che il cioccolato sia un rimedio contro l’agitazione, l’anemia, l’angina e l’asma, risvegli l’appetito e il desiderio sessuale. Per essere precisi, non il cioccolato ma i semi dell’albero “Theobroma cacao”, più noto come cacao e basta. Il suo utilizzo, in centinaia di anni, ha riguardato oltre 100 malattie e sindromi, ma il suo accreditamento come “rimedio” risale a più di 2.000 anni fa, agli Olmechi, ai Maya e agli Aztechi e alla successiva diffusione ad opera degli spagnoli.

Nel 19esimo secolo il suo consumo è aumentato grazie all’abbassamento del prezzo, all’invenzione del cioccolato solido e di quello al latte. Negli ultimi anni, però, i consumatori sono diventati più attenti alla salute, privilegiando il biologico, il naturale, il monorigine e la presenza di cacao.

Per favorire la vendita dei propri prodotti, i produttori di cioccolato hanno quindi largamente finanziato gli organismi che si occupano di scienza della nutrizione: di qui risultati che sicuramente hanno influenzato l’andamento dei consumi, trasmessi, purtroppo, in maniera parziale o quantomeno tendenziosa.

Solo l’anno scorso la ricerca affermava che i consumatori di cioccolato sono meno soggetti alle palpitazioni, che le consumatrici donne rischiano meno l’ictus e il consumo di flavonoidi del cacao riduce la pressione sanguigna. Nel 2016 chi mangiava cioccolato aveva un ridotto rischio di declino cognitivo oltre i 65 anni e chi consumava i flavonoidi rispondeva meglio a indagini sul rischio cardiovascolare e di diabete.

Dove stanno le inesattezze? I livelli di flavonoidi utilizzati nelle ricerche erano molto più alti di quelli disponibili nei prodotti da supermercato. Per esempio, lo studio sulla pressione sanguigna prevedeva una somministrazione media di 670 mg, ossia l’equivalente di 12 tavolette da 100gr di cioccolato fondente.

Molti studi sul cioccolato sono brevi o hanno un numero limitato di partecipanti. Inoltre, c’è il problema che, a differenza degli studi sulle droghe, coloro che prendono parte a studi sul cioccolato spesso sanno se viene loro somministrato cioccolato o un placebo. La maggior parte delle persone ha aspettative positive sul cioccolato perché gli piace. Vengono quindi innescati meccanismi di condizionamento. Al solo pensiero, possono diventare più rilassati, aumentando i livelli di endorfine e neurotrasmettitori, e innescando benefici fisiologici a breve termine.

Per non parlare dell’effetto “finanziamento”: i ricercatori statunitensi hanno esaminato 206 studi su bevande analcoliche, succhi e latte, scoprendo che coloro che ricevono denaro dall’industria sono sei volte più propensi a produrre risultati favorevoli o neutrali rispetto a quelli che non lo ricevevano.

 

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